
Io e il mio TS abbiamo viaggiato in simbiosi per un anno intero, lungo la superficie immensa di questo pianeta.
Abbiamo attraversato deserti, luoghi in cui il clima e le distanze possono uccidere, risalito strade di pietra scavate nello scoglio vivo sul fianco dell’Himalaya in Nepal, percorso per settimane sterrati desolati a 3500 metri sull’altopiano andino prima di arrampicarci fino a 4800 metri e trovare il Titicaca là dietro ad aspettarci, come un miracolo cromatico. Abbiamo attraversato fiumi mastodontici come non pensavo potessero esistere, fiumi dai nomi esotici e larghi km come il Gange e il Bramaputra in India o l’Irrawaddy in Myanmar, il Rio delle Amazzoni in Brasile.
Ho guidato il mio TS fino a pochi metri da luoghi incredibili, fino ai piedi del Taj Maja, del Machu Pichu e della Burja Kalifa, l’ho guidato sulle strade di pietra dell’Angkor Wat, dentro la straordinaria Bagan e dentro alla piazza più bella del mondo, Durbar Square di Kathamandu. L’ho portato letteralmente a sbattere contro le pareti di roccia di Uluru, l‘enorme monolite rosso al centro dell’Australia.
Ho cambiato quattro pistoni , due cilindri e due frizioni, ho percorso 1500 km completamente senza freni tra Thailandia e Malesia, ho saldato i portapacchi decine di volte e guidato spesso di notte coi fari KO in un buio così fitto che mi toccava aspettare che arrivasse una macchina per lanciarmi all’ inseguimento e sfruttarne i fari. Ho visto il mondo e pensato e osservato tanto, perché la sella di una Vespa è un luogo privilegiato. Da questa grandiosa esperienza è nato “Il giro del mondo a 80 all’ora”.